CALENDARIO DEGLI AVVENIMENTI A FORTE MARGHERA NEL MAGGIO 1849

Tutti i dati e testi compresi in questo lavoro sono tratti dalle opere:

DELLA DIFESA DI VENEZIA NEGLI ANNI 1848-1849 di Francesco Carrano (1850)

e AVVENTURE DELLA COMPAGNIA SVIZZERA – MEMORIE DI GIOVANNI DEBRUNNER di Giovanni Debrunner (1851)

Nel dì 26 aprile di quell’anno 1849 i nostri furono certi che il nemico formato avendo i magazzini di deposito, faceva le comunicazioni per venire alla prima parallela. Un drappello nemico venuto innanzi inverso Marghera, posta in acconcio sito una macchina da razzi, ne trasse molti contro il forte: un solo dei nostri ne fu colpito, milite dei cacciatori del Sile, il quale stando fermo al suo posto cadde gridando, coraggio fratelli.

Nel dì 27 e nei seguenti giorni scorgemmo un deposito di gabbioni al sito ove era la fermata della strada di ferro presso Mestre, un buon migliaio e mezzo di metri lontano da Marghera. Altri per certo v’erano lungo la sinistra nemica coperti da case e da circostanti alberi.

Dal 29 al 30 fu aperta la prima parallela a linee interrotte Ne vedemmo una da dritta della Boa Foscarina alla Boaria; un’altra dal poco discosto casello bucato della strada ferrata, all’argine sinistro del canale di Mestre.

Il giorno 3 maggio scoprimmo un lavoro di zappa partir da Boaria, e un altro dal forno verso il canale di Mestre, e vedemmo pure farsi altro lavoro a dritta e a manca dell’Oselino.

La mattina del 4 maggio osservammo nella parallela nemica due batterie non compiute, una a dritta della casa bucata, l’altra innanzi al forno presso il canale di Mestre. Altre batterie non vedemmo, perocchè venivano costrutte in siti mascherati da cespugli o altri ostacoli. Questa specie di prima parallela era distante un 1000 metri, distanza inusitata, dacchè la ordinaria di una prima parallela è non più di un 600 metri: ma a quella il nemico fu astretto ad attenersi e per le gravi difficoltà che in quel terreno incontrò, e per la viva molestia che dalle nostre artiglierie eragli arrecata. E per verità non sì tosto ne venne fatto scorgere i primi lavori di approccio del nemico, fu comandato che di tutti i cannoni, i quali potevansi a quella volta drizzare, ciascuno facesse due tiri all’ora a granata e palla di rimbalzo con grande carica, e ciascun mortaio lanciasse una bomba in ogni ora. E con tanta aggiustatezza trassero, e si di rado i colpi andarono a vuoto, che grande danno fecero a quelli lavori, e di non poco 1’avanzamento ne ritardarono. Cosicchè le batterie della prima parallela non abbiano potuto essere compite innanzi il 4 del mese di maggio.

Il giorno 4 maggio adunque, una mezz’ora innanzi il mezzodì, il nemico smascherò sette batterie, tre di cannoni, tre di mortai, una di obici, in tutto 60 bocche da fuoco, dalle quali in un attimo furono scaricate in Marghera palle, granate e bombe senza numero, oltre razzi infiniti, sotto un cielo sparso di squarciate nuvole, attraverso le quali il sole di tratto in tratto mandava un raggio nella placida laguna, e sugli alti palazzi e i cento campanili della bella città.

La parte del forte fatta principal segno alle nemiche offese, che con vocabolo dell’arte è d’uopo addimandi fronte di attacco, fu quella che comprende il bustione VI, la faccia dritta del V e la sinistra del VII, e le lunette XII e XIII. Al primo cadere dei mortali proietti in Marghera i giovani militi che la presidiavano, restarono per poco da quella furia sbalorditi: e non per questo sono da condannare e perché nuovi affatto a quella strana pioggia di fuoco, e perché a quell’ora i più alla quotidiana rassegna della guardia intenti erano. Ma immantinenti la voce del comandante fattasi alto intendere, e un uffiziale ad esempio dato primo fuoco ad un cannone, ed altro uffiziale tolto in mano il tricolore vessillo e profferendo le magiche parole viva l’Italia, raccolti i suoi a seguirlo, tutti, in men ch’io il dica, accorsero ai posti loro assegnati, e salutarono quel momento, quel giorno felicissimo, in cui potevano rimandare offese alle offese dell’odiato nemico, e porre la vita per la patria.

Le artiglierie nemiche in questo primo attacco fecero da quattro a cinquemila tiri, senza contare i moltissimi razzi: le nostre ne fecero poco men del doppio, avendo agevolmente costrette quelle a tacere. Dei difensori quattro restarono morti e diciotto feriti, e tra questi tre uffiziali. Da nostri esploratori venuti da Mestre sapemmo che il nemico si ebbe due batterie smontate, ed altre di molto malconce. Il numero dei suoi morti e feriti non posso con certezza dire, ma credo sia stato grandissimo, e non già di soli sei, siccome in una gazzetta di Augusta (12 maggio 1849) è detto. E per vero gli esploratori rapportarono che la mattina del 5 maggio in Mestre furono fatte ventitisette amputazioni cerusiche, e parecchi carri di feriti furono trasportati a Treviso. Altri esploratori rapportarono fino al 7 maggio essere morti centoventi cannonieri austriaci, e un colonnello croato, un maggiore di artiglieria, e un uffiziale superiore del genio. E altri, fino all’8 maggio delle truppe assedianti un tremila soldati essere stati resi non atti a combattere, e in larghe fosse nella vicina campagna essere stati sepolti moltissimi cadaveri.

La mattina del 5 venne parlamentario nemico portatore di un piego non suggellato, nel quale era accluso un proclama dl Radetzky. Il proclama portava la data del 4 maggio, quando il maresciallo giudicava potere, presa per breve bombardamento Marghera, andar difilato e trionfante a Venezia di unito agli arciduchi Ferdinando, Guglielmo e Leopoldo, i quali a rendere più festoso il trionfo gli facevano corteo in Mestre.

Nella notte del 5 al 6 il nemico aprì la seconda parallela distante un cinquecento metri. E veramente stupendo fu quel lavoro del nemico, fatto, come dicesi, alla zappa volante in poco spazio di tempo, alla scoperta, e sotto l’incessante fuoco delle nostre artiglierie. Ne scorgemmo una prima traccia del casello presso la via di ferro all’argine sinistro del canale di Mestre, e quivi una testa di zappa, che assai vicina era alla opposta lunetta XIII. La quale testa di zappa nel volgere di quello stesso giorno fu quasi affatto distrutta dai bene aggiustati tiri dei nostri pezzi, nè meno guastata fu tutta la traccia della parallela: non si però che nelle notti seguenti l’inimico non avesse con arte e proposito grandissimi ripigliato quel lavoro, e solidamente, costruita e compiuta la seconda parallela.

Nella notte del 6 una piccola sortita dai nostri fu fatta.

Il dì 7 un distaccamento su per gli argini del canale di Mestre fin sotto i trinceramenti del nemico andò a molestarlo nei suoi lavori, tantochè lo costrinse a ristare.

Nel giorno 8 due altri distaccamenti andarono, l’uno per la via ferrata, l’altro per gli argini del canale, assai presso alla trincea nemica, e per essi sapemmo che non ancora era stata armata, comunque di fuori quasi del tutto compiuta apparisse. E quando i nostri furono andati innanzi, un centinaio di cacciatori nemici occuparono la testa di zappa presso il canale di Mestre.

Fu ordinata una più forte sortita da farsi nella notte dall’ 8 al 9, giudicandosi potere sorprendere il nemico in sull’armare le sue batterie. Vennero apprestati nella bisogna un cinquecento militi, e un centinaio di zappatori e alquanti cannonieri, armati di strumenti atti a rovesciare e colmare la trincea, a bruciare gli affusti, inchiodare i cannoni, e far cose altre simiglianti. Furon le genti partite in due colonne: la prima, composta di una compagnia di napolitani, una compagnia di cacciatori del Sile, e una compagnia di bersaglieri lombardi, seguita da due piccoli pezzi di artiglieria trainati a mano, uscita fuori dalla lunetta XII, si pose per la via ferrata, dove divisa in due, una parte si prolungò a manca verso la Boa-Foscarina ad assalire da costa la trincea nemica, e un’altra proseguì dirittamente su per la via di ferro.

Di simiglianti grandi sortite sogliono farsi quando la seconda parallela è tracciata, ovvero quando compita essendo, il nemico intenda ad armarla: ed in entrambi questi casi, la più forte parte della guardia di trincea stando nella prima parallela, non torna per certo malagevole montar nella seconda, e infrattanto che non vengano rinforzi, apportarvi il danno che si può maggiore. Ma non così avvenne a noi in quella sortita: perocchè l’inimico non ad armar le batterie dava opera, come i nostri pensato avevano, nè la parallela era solo tracciata, che anzi affatto compita mostravasi ai riguardanti: ma siccome di molto inondata era dalle acque per i nostri idraulici lavori colà fatte scorrere, il nemico mentre intendeva a prosciugarla, tenevala a dovizia guardata di armati.

Un’ora dopo il mezzo del dì 9 il nemico dalla batteria, che era a sinistra accosto il canale di Mestre, lanciò bombe nel forte fino alla sera, quando del tutto si tacque. Le nostre artiglierie proseguirono a trarre quanto bastevole era a molestare i travagliatori nemici. Il nemico fino al dì 23 continuò a lavorare nelle trincee, e specialmente nel prosciugamento del terreno con costanza e fatica grandissime travagliossi. La inondazione dai nostri operata di non lieve momento riescì, ricoperto avendo di acqua tutta la trincea, e alquanti depositi di artiglierie e munizioni, tantochè i lavoratori nemici, secondochè in un articolo della gazzetta di Vienna del 4 giugno, e nei numeri 142 e 144 della gazzetta di Augsbourg è riferito, dovettero per lunga pezza di tempo stare con l’acqua fino alla cintola, ed alcuni fino al petto; per le quali fatiche e disagi la più parte di quelle genti in seguito morirono. Né fu prosciugata la trincea prima che quelle acque non si avessero avuto scolo per un foro fatto nell’argine della via di ferro. E in quelle nostre opere idrauliche massima parte si ebbero i veneti arsenalotti, i quali inoltre vollero donare alla patria, poverissima in danaro, la paga che per quella estraordinaria fatica era loro dovuta.

Nella notte dell’ 11 fu ordinato che dalla lunetta XII si traesse contro il più avanzato lavoro del nemico, e spesso anche a mitraglia affine di molestarlo il più che si poteva. Tratto tratto venivano pure mandate palle luminose e razzi che rischiarassero il terreno circostante.

Il 12 il nemico costrusse altra batteria presso Campalto, la quale traeva contro S. Giuliano e le piroghe armate poste a guardia dei vicini canali, molestando non poco le nostre comunicazioni per la laguna, e molte palle ne arrivarno fino al ponte, dove un povero lavoratore che da Marghera riduce vasi a casa in Venezia, da una di quelle restò troncato per mezzo Del rimanente per tutto quel giorno poche bombe furono lanciate nel forte, ma si molte granate e razzi, Noi rispondemmo con fuoco più vivo dell’ordinario e contro le antiche batterie, e dal forte Manin contro la nuova posta in Campalto.

Il dì 13 1’inimico continuò a trarre, e noi a rispondere come nei giorni innanzi. Posti tre pezzi in batteria sulla caserma, con quelli fu cominciato a tirare con ottimo effetto contro le opere degli imperiali.

Il 14 videsi procedere a destra i lavori del nemico. In quel giorno un ingegnere lombardo per nome Valli, mentre vegliava alcuni lavori che fuori la lunetta XIII quelli del genio facevano, ebbe ferita la gamba sinistra. Egli trasportato sulle braccia dai commilitoni dolenti, dall’estremo capo del forte all’altro andò a tutti mostrando viso lieto e quasi orgoglio dell’avuta ferita. Richiese il chirurgo gli dicesse veritiero e franco se quella fosse grave, e avutone risposta che affermava, soggiunse spiacergli di buon’ora essergli tolta abilità di combattere per l’Italia, ma non potendo altrimenti giovarle con l’opera, volere almeno farlo dando esempio di virilmente tollerare il dolore. E la gamba vennegli amputata, ed egli non mise lamento, non fece motto, guardando fisso la mano del chirurgo. Indi a pochi giorni mori, libertà pregando all’Italia.

Il 15 meglio fu scorto essere stata prolungata la seconda parallela al di là del canale delle Verze fino verso il canale di Boa-Foscanina, il quale scorre perpendicolare al forte Rizzardi. E fu ordinato che in quel lavoro si traesse dal bastione I, dalla controguardia XI, dalla faccia dritta del bastione V, e dalle batterie di Rizzardi e Cinque Archi. E affine di più accrescere le offese in quel terreno di recente occupato dal nemico, furono posti due cannoni da 18 sulla faccia sinistra del bastione V, e a guarentirli vi furono dappresso elevate due buone traverse.

Nella notte del 16, e le altre di poi, fu mandata una piroga armata pel canale della Boa-Foscarina a cogliere di rovescio l’inimico nell’estrema sua destra. Nel medesimo giorno arrivò a Mestre il tenente-maresciallo Thurn, nuovo comandante dell’assedio in luogo di Haynau, chiamato a capitanare l’esercito di Austria il quale contro i forti e generosi ungheresi combatteva. In quel dì pure quattro battaglioni dei diciotto che il corpo degli assedianti componevano, furono mandati in Romagna.

Fra il 20 e il 21 i nostri avendo scorto essere pressoché compiute le batterie della seconda parallela, giudicarono che l’inimico presto avrebbe cominciato il nuovo fuoco, benché malagevole fosse esserne certi, dacchè le batterie secondo il modo che gli austriaci tennero, erano costruite dentro la parallela.

Ma su i primi albori del 24 vedute aperte le cannoniere non dubitammo che allora la guerra di artiglierie sarebbe ricominciata fierissima; e però tutti stettero anelanti e parati ai loro posti. Nè andò guari che i nostri artiglieri, avuto ordine di trarre, trassero. Era 1’ora quinta del mattino. Immantinenti le batterie nemiche per centocinquanta bocche contro di noi vomitarono fuoco sterminatore. Un doppio semicerchio di fiamme formato dalle artiglierie di entrambe le parallele, dal canale di Boa-Foscarina a Campalto cingeva intorno Marghera e le minori opere. Eranvi ben diciotto batterie, sette le stesse della prima parallela, parte rinnovate e rialzate, e undici della seconda. Le armavano novantasei cannoni, trentuno mortai, quindici obici e nove altri da ottanta alla paixhans, dei quali quattro sapemmo essere venuti dalla non vicina isola di Nissa. La pioggia di proietti che in quel giorno cadde in Marghera fu tale che pochi vecchi soldati ricordano avere veduto altra simile.

E così come fu in quel giorno 24, fu nei due seguenti 25 e 26.

La sera del 25 dalle lunette venne avviso che la trincea nemica appariva piena di armati, e che colà entro gran movimento di uomini si udiva, e la nostra guardia avanzata, formata dei valorosi svizzeri, che posta era sulla via di ferro, rapportò che molte truppe venivano innanzi. Pensammo che il nemico volesse prendere di forza la controguardia XI, ovvero le lunette. I nostri con buon ordine si apprestarono a riceverlo: si tennero pronti alquanti pezzi carichi con mitraglia: del rimanente le artiglierie del forte continuarono a fare il solito fuoco. Né rechi maraviglia avere i nostri sospettato che nelle ore della notte il nemico ciò fare volesse, dappoichè non credettero già che un assalto generale a tutta la linea avrebbe fatto, ma solamente ad una piccola parte o alle opere staccate, sperando produrre scompiglio fra le nostre giovani volontarie truppe. Quella sera il comandante del forte si ebbe lieve ferita ad un piede. Nel dì vegnente scorgemmo che dalla dritta della seconda parallela i lavori nemici avevano progredito al cominciamento della terza.

I ponti ed i passaggi più importanti furono rotti, e più volte riparati, rotti ancora e distrutti. Il ponticello che unisce la tura scendente dalla via di ferro a Marghera col contiguo sentieruolo fatto di fascine, solo il dì 26 cinque volte fu dai proietti nemici spezzato, e cinque volte dai nostri con raro valore rifatto; e più di uno in quel sito restò col proietto che lo colpì sepolto nella poco discosta scarpa di terra del bastione staccato. La batteria dei Cinque Archi e il forte Rizzardi per infiniti danni, ora più ora meno riparati vennero infine a tale che con meno di un quarto delle loro artiglierie traevano: che anzi dei pezzi del ridotto Rizzardi soli due restavano illesi, e i parapetti tutti franti e abbattuti.

In quel mezzo il governo comandò che Marghera venisse evacuato.

Non è a dubitare che il forte fosse ancora atto a difendersi, e perché i danni che vi erano stati fatti potevano essere ristorati, e perchè le poche artiglierie che tuttavia restavano in piedi bastevoli erano alla difesa da vicino, e perchè gli animi del presidio in mezzo a quelle innumerevoli offese erano divenuti sì ardenti, che gli artiglieri al dato comando non volevano prestar fede, e molti ricusarono di partirsi dai loro cannoni, e poi dalla disciplina obbligati ad andare, li abbracciavano e li baciavano e piangevano. Oltrechè il nemico non per anco aveva fatto i lavori dappresso, nei quali grandi difficoltà avrebbe avuto a superare, a cagione della natura del terreno che sotto Marghera è assai più molle e paludoso. Ma principali motivi della determinazione presa dal governo, preceduta da avviso di consiglio di generali, e confermata dal duce supremo, furono che una più lunga difesa ne avrebbe apportato più grande perdita di militi e massime di artiglieri, dei quali, morti o gravemente feriti moltissimi, pativamo difetto, e i quali grandemente avevano mestieri alla difesa di Venezia.

E a Venezia per la cessione di Marghera nessun male verrebbe arrecato, che anzi allora proprio acconciamente troverebbesi ristretta nei confini della sua naturale difesa, e Marghera fin da principio fu tenuta per noi principalmente all’obbietto di guerra offensiva, e poi tenuta si volle difenderla per decoro delle armi, al quale non è chi neghi già essere stato satisfatto.

Erasi al mattino del 26. E pensò che sopra ogni altra cosa uopo era si tenesse inviolato il segreto nel forte, per impedire che su quella evacuazione fossero fatti ragionari, i quali certamente causato avrebbero disordini tra le nostre giovani milizie; pensò che il sito ove era maggior pericolo di assalto del nemico essendo la controguardia XI, bisognava quella massimamente tener munita fino all’ultimo; e pensò che dovevasi il meglio che si poteva ingannare l’innimico intorno ad ogni nostro movimento di ritirata.

E alle nove ore determinò cominciasse il ritirarsi. E questo fece affinchè l’inimico notando fin dal giorno quella novella maniera di trarre, la sera non fosse venuto in sospetto per vedere cessato il fuoco del forte Manin, ma avesse giudicato essere quel silenzio naturale effetto del già seguito modo di far fuoco ad intervalli: e questo trarre con intervalli siffattamente fu ordinato che alle nove ore cessasse il fuoco di Manin, e non dovesse ricominciare innanzi le undici ore, cosicché per queste due ore di silenzio nell’ animo dei nemico non potesse nascere un sol dubbio di straordinario avvenimento: e due ore bastavano a compire tutta la ritirata.

Il comandante allora certo che gli altri bastioni, e le lunette, e i forti Rizzardi e Manin erano ormai del tutto evacuati, non restandovi più un solo uomo, ordinò che il presidio di Rizzardi unito a quello della controguardia XI e bastione I, fatti gli ultimi tiri ed adempiute le note prescrizioni, uniti insieme andassero per la stessa tura sulla via di ferro, disfacendo le comunicazioni che si lasciavano dietro: e colà uniti a quelli della batteria dei Cinque Archi vennero ritirandosi, con grande accorgimento, e appuntino adempiendo quanto ogni buona retroguardia in ritirata di tanto pericolo piena debbe fare.

Era l’alba del 27 maggio 1849...

Allora migliaia di capi furono veduti rizzarsi sopra la trincea nemica, indi a poco tutte le batterie trassero per l’ultima volta, e finalmente una numerosa pattuglia appressatasi a Marghera entrò, e Marghera fu in poco di ora piena d’imperiali. Di là buona mano di armati sopra barche fu menata ad occupare la vicina isoletta di S. Giuliano, anche per noi evacuata, quando una polveriera, ed una mina in cui micce accese di lunga durata erano state lasciate, scoppiarono con grandissimo fracasso e rovina dell’isola, e con morte di un quaranta soldati e quattro uffiziali nemici, le cui membra per la violenza dello scoppio andarono sparse nella laguna, e feriti moltissimi.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

CRONOLOGIA AVVENIMENTI

(DA MESTRE E FORTE MARGHERA)

1846

 

11 gennaio

Apertura al traffico del ponte ferroviario verso Venezia;

inizia la crisi per i barcaioli di Mestre

1848

 

19 gennaio

Arresto di Manin e Tommaseo a Venezia

8 febbraio

Disordini studenteschi a Padova

11 febbraio

Ferdinando II re delle due Sicilie concede la costituzione

24 febbraio

Rivoluzione a Parigi

4 marzo

Carlo Alberto firma lo statuto

13 marzo

Insurrezione a Vienna, cade il governo Metternich

17 marzo

Alla notizia della rivoluzione di Vienna Venezia insorge, vengono liberati Manin e Tommaseo

19 marzo

Costituzione della guardia civica a Mestre

22 marzo

Presa di Forte Marghera

18 giugno

Gli Austriaci rioccupano Mestre

19 giugno

Le Artiglierie veneziane iniziano il bombardamento di Mestre

10 agosto

Pesante bombardamento di Mestre, sparati almeno 1000 colpi di cannone

27 ottobre

Sortita da Marghera combattimenti nel centro di Mestre

1849

 

31 gennaio

A Treviso giunge il generale Haynau per dirigere l'attacco a Forte Marghera

1 febbraio

Iniziano i lavori di scavo per la conquista di Forte Marghera

22 marzo

Vengono fucilati due Mestrini per aiuto a soldati presunti disertori (agenti provocatori)

18 aprile

Haynau sposta il comando a Villa Papadopoli sul Terraglio in previsione del prossimo attacco a Marghera

25 aprile

Arriva a Mestre l'artiglieria destinata al bombardamento finale di Marghera

4 maggio

Risultano schierate 7 batterie austriache con sessanta bocche da fuoco

4 maggio

Inizia il cannoneggiamento continuo di Forte Marghera

6/21 maggio

Completamento parallele e scaramucce tra le forze contrapposte

24 maggio

Orribil fuoco con l’apertura della seconda parallela. Schierate 18 batterie con 151 bocche da fuoco di cui otto alla Paixhans

25 maggio

Viene ordinata l’evacuazione di Marghera

26/27 maggio

Nella notte le truppe veneziane abbandonano Forte Marghera, praticamente distrutto

1 giugno

A Mestre il plenipotenziario austriaco De Bruch incontra i delegati di Venezia

19 agosto

A Mestre in borgo Palazzo a casa dell' avv: Rossetto, Cavedalis, Priuli, Baldisserotto e Medin, per i Veneziani e Gorzkowsky e Marziani per l'Austria negoziano le condizioni di resa

22 agosto

Ultimo incontro a Mestre fra delegati Veneziani e Austriaci

24 agosto

Firma della resa di Venezia a villa Papadopoli sul Terraglio

 

 

 

 

 

 

 

 

TAVOLA SINOTTICA

ASSEDIO FORTE MARGHERA

DATA

SITUAZIONE

AUSTRIACI

FORTE MARGHERA

2 Aprile

SCHIERAMENTO

Vengono schierati a Mestre 30.000 uomini formati da:

18 Battagioni di Fanteria;

2.000 Artiglieri;

2.000 Genieri.

Iniziano lavori parallele.

Compongono la Guarnigione:

1.400 Militi;

200 Fanti di Marina (italiani ex

inquadrati in reparti austriaci);

400 Artiglieri;

300 Artiglieri volontari;

100 Zappatori.

26 Aprile

FUOCO

Gli Austriaci aprono il fuoco contro il forte con una macchina da razzi.

1 morto: Cacciatore del Sile.

1 Maggio

LAVORI

Continuano i lavori alle parallele.

Cannoneggiamento ai lavori senza risposta.

4 Maggio

LAVORI

 

 

 

 

 

 

 

 

FUOCO

 

 

 

PERDITE

Viene aperta la 1^ parallela a 1.000 metri (normalmente a 600 secondo metodo Vobain) causa allagamento terreno. E’ composta da 60 bocche da fuoco ordinate in 7 batterie:

  • 3 di cannoni;
  • 3 di mortai;
  • 1 di obici;
  • varie macchine da razzi.

4.000/5.000 tiri più razzi in 7 ore di fuoco.

 

 

2 batterie smontate;

120 morti (3 Ufficiali);

3.000 feriti (molti per malattia).

 

 

 

 

 

 

 

 

 

2 tiri all’ora a granata e palla a rimbalzo con grande carica;

poi 7.000/8.000 tiri in 7 ore di fuoco.

4 morti;

18 feriti (3 Ufficiali);

nella lunetta XIII:

1 cavallo, poi mangiato;

1 cane mascotte della Compagnia Svizzera

6 Maggio

LAVORI

 

FUOCO

Viene aperta la 2^ parallela a circa 500 metri.

 

 

Incessante fuoco a guastare i lavori

8 Maggio

FUOCO

 

 

 

 

PERDITE

 

 

 

 

 

Non segnalate.

Sortita di 500 militi in due colonne per guastare i lavori alle parallele.

La parallela era solo tracciata ed inondata. Sorvegliata da molti armati. Rientro.

Non segnalate.

 

 

 

 

9 Maggio

FUOCO

 

PERDITE

Gli Austriaci tirano contro il Forte da mezzogiorno a sera.

Non segnalate.

Durante la costruzione delle parallele, a causa dell’inondazione dei terreni provocata dall’esondazione dell’Osellino e del Canale di Mestre, gli Austriaci sono costretti a lavorare per lunghi giorni con l’acqua alla cintola ed anche al petto. Per tali fatiche la più parte in seguito morì.

Fuoco di risposta.

 

Non segnalate.

11 Maggio

FUOCO

 

Tiri anche a mitraglia per contrastare il nemico

12 Maggio

LAVORI

 

 

 

PERDITE

Aperta batteria di cannoni presso Campalto per contrastare Forte Manin, Forte S. Giuliano e ponte ferroviario.

 

 

 

 

Un colpo uccide un operaio che da Forte Marghera tornava a casa a Venezia e lo tronca in due.

13 Maggio

FUOCO

Scambio di colpi.

Scambio di colpi.

14 Maggio

PERDITE

 

Viene ferito mortalmente l’Ing. Valli, lombardo, intento in lavori del Genio presso la lunetta XIII.

15 Maggio 21 Maggio

LAVORI

FUOCO

AVVENIMENTI

Prosecuzione lavori alle parallele.

Scambio di tiri.

Il 16 maggio il Generale Thurn è nuovo Comandante al posto di Haynau, chiamato contro gli Ungheresi.

 

Scambio di tiri.

24 Maggio

25 Maggio

26 Maggio

LAVORI

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

FUOCO

 

PERDITE

Inizia l’ORRIBIL FUOCO.

Aperta offensiva contro Forte Marghera con la 2^ Parallela:

E’ composta da 151 bocche da fuoco ordinate in 18 batterie:

  • 96 cannoni;
  • 31 mortai;
  • 15 obici;
  • 9 cannoni da 80 alla Paixhans;
  • varie macchine da razzi.

65.000 tiri più razzi in 3 giorni di fuoco.

11.000 tra morti e feriti stimati dalle spie (molti per malattia);

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

40.000 tiri in 3 giorni di fuoco.

 

100 morti e 400 feriti per DE BRUNNER;

150 morti e 250 feriti per CARRANO.

Da aggiungersi i dispersi, cioè chi "in quel sito restò col proietto che lo colpì sepolto nella scarpa di terra del bastione staccato" o dilaniato mentre montava al pezzo.

27 Maggio

AVVENIMENTI

"Migliaia di teste si rizzano sopra la trincea nemica…" Gli Austriaci entrano in Forte Marghera e lo trovano sguarnito.

Nell’arco della notte, attuando uno stratagemma legato al rallentamento dei tiri dai vari siti, il Forte viene evacuato.